
Anche ieri ho sbagliato, come il giorno prima e quello prima ancora, e come farò stasera e domani e ogni volta che dovrei andare a dormire, ma il canto di sirena di un'altra Ceres intrappolata fra i ghiacci di un freezer mi incanta ed obbliga a liberarla nelle mie viscere; e così anche stamattina sembra troppo presto, ma sono le sei e mezza, inequivocabili, la campana ha dato il mezzo tocco dopo un numero indefinibile di colpi pieni a precederlo. Sono sempre più zombie, non morto e non ancora vivo, la genesi deve attendere altre due ore e mezza. Forza bello, in piedi! Guadagna il turno al cesso. Fai colazione, abbondante ed energica, fette biscottate e marmellata, ginseng (ging-sen ?), caffè e sigaretta. Che ore sono ? Ora di andare. Lenta e breve marcia in salita fino al magazzino, sono le sette e mezza nemmeno e il sole già cuoce cervelli ed epidermidi e peli e ciglia... quanti sono stamattina ? Un macello .... i battesimi chi se li smazza ? Dove andiamo ? Com'e' il mare ? O-kappa, 25 bombole di cui due diciotto litri più due bombolini; le cinture dei pesi; le borse (dio quanto pesano alcune borse ... e che odore che mandano altre, piscio e neoprente marcescente, cristo santo, ma lavatevele ogni tanto - maledetti); i frigo; i roster; gli erogatori dei bombolini; le nostre attrezzature; le borse nuove sono pronte ? Ok; torce, quante, una decina ? Ok; remi e tappo del tender ... a posto. Pronti. Via. Via con la jeep fatiscente, tutti ci chiediamo come faccia a stare in piedi, soprattutto dopo gli interventi del capo ... l'ultimo “di precisione”, che ridere ... eravamo lì a grigliare pesce coi clienti e lui che prendeva a martellate lo sterzo sotto la luce posticcia di un neon, per “riparare” il bloccasterzo che dava problemi (dopo l'alternatore, la batteria, lo sterzo, gli ammortizzatori, il sedile posteriore ...) e insomma, adesso la chiave non serve più, bisogna avviare con una pinza tipo banda bassotti .... ohi, occhio al muro che qua le strade sono fatte per i muli, mica per i cherokee ... e occhio alle buche che io sono seduto sul cambio! Ok arrivati, conquistiamoci un posto in banchina ora; che ci sono quei dannati che lasciano sempre ormeggiato lì davanti e noi ligi ligi a portare i gommoni ogni volta in mezzo al porto. Anche qua che scene a volte, quando il nababbo di turno sulla sua astronave ad elica ha la bella idea di attraccarsi in mezzo alle palle per la notte, e poi la mattina deve scacciare tutti i diving come un grasso barone sulle mura di un castello contro i lupi mannari, anzi, deve andarsene prima che gliela mandino a picco la sua fantastifuoribordaccessoriatalecomandata. Sfrussh, stunk, sfrussh, stunk, sfrussh, stunk fanno le bombole quando escono dal baule e toccano terra, e poi hopp, sgrikk, sgrikk, hopp, sgrikk, sgrikk quando le prendi e le sdrai in bella vista come una composizione culinaria per la delizia dei clienti, che tra un po' cominceranno a sciamare, i tuoi e quelli altrui, come api sul miele, come mosche su altro, come pirati su un tesoro, belli, allegri e riposati, pronti per farsi portare al luna park marino, con te in testa – che non aspetti altro in verità, ma prima del premio c'è ancora un lungo calvario. Chi arriva tardi; chi trova la sua borsa da un lato e la sposta dall'altro con le sacche del gommone sbagliato; chi vuole darti una mano e non fa altro che incasinarti la vita; chi non arriva proprio e tu gli dedichi due bestemmie e il sudore che hai versato invano per lui; chi si è dimenticato un pezzo in magazzino, e a volte sei tu. E poi ci sono gli altri diving in coda per la banchina che tu hai già occupato, per cui stringere, che fa caldo e la pressione aumenta .... e infine quelle due urla che segnano la fine del caos: poppa libera, prua libera, via ... su i parabordi alla volta del punto. Dove andiamo oggi ? La Colombara ....
Chiacchere coi clienti mentre si raggiunge il punto; il tempo, il mare, il vento, quegli scherzi verbali da branco che altro non condivide se non quelle ore in acqua e gli episodi che vi accadono: chi rimane senz'aria, chi rischia di perdersi, chi perde la pinna. Spesso mi isolo sulla prua, a cantare e guardare il mare che corre sotto la chiglia e i miei piedi a penzoloni, col sole che mi brucia le ciglia e il rumore del motore che copre il cicaleggio retrostante. Il mare: questa distesa immensa di liquido entro cui noi, minuscoli, sguazziamo senza mai entrare veramente in contatto, siamo pulviscolo in sospensione, tesi nel goffo tentativo di scioglierci nella sua immensità uterina; e mai riusciamo, siamo sempre divisi da lui dall'epidermide, limitati nella permanenza o dalla nostra capacità polmonare o dalla dimensione della bombola, e le pinne che abbiamo sono posticce, e la maschera per carpire un'immagine deformata di questo mondo senza gravità, e il neoprene per non crepare di freddo. Distanti e cocciuti, ogni giorno ci riproviamo, e mai riusciamo, ma la fugace illusione vale ogni fallimento.
Eccoci qua. Buttare l'ancora, tirare giù la scaletta, possiamo vestirci. Almeno, loro si vestono con calma, io come sempre mi barcameno tra la vestizione e le richieste: Ubik mi apri la bombola che non riesco ? Ubik mi passi il gruppo in acqua che mi vesto lì ? Ubik mi dai una torcia ? Ubik hai visto la mia cintura ? Ubik non riesco a mettermi le pinne ! Ubik ? Ubik ! Eccomi ! Eccomi .... eccomi. Anche io ho su tutto, getto il mio gruppo, poi me stesso, e comincio il mio rito: allargo il collo della muta per far filtrare l'acqua ed eliminare le bolle d'aria, pescandola come una balena a caccia di krill; mi siedo sulla bombola e la infilo sulle spalle; serro la fascia, tiro i cinghioli; assesto la torcia, controllo di avere tutto; chiedo l'ok al gruppo. Ci siete ? Ci sono. Ci siamo. Andiamo giù, pollice verso, aria fuori, inizia un'ora di silenzio ritmato dalla respirazione, segnali ed emozioni, e non sai cosa succederà perchè non è mai un film; anzi, è un film muto ogni volta diverso girato sempre nella stessa location. Come quella volta che badavo al tizio in panico che lo sentivano respirare da Marettimo, e gli ho dovuto far fissare un banco di dotti per dieci minuti prima che si riprendesse – d'altronde i ricchi stressati non si comprano un acquario da guardare, per rilassarsi ?
E quel giorno che da sotto il massiccio quattro ricciole enormi si aggiravano tranquille attorno al castello di poppa del mercantile naufragato, giocando serene coi raggi del sole. O quando c'era una corrente paurosa che schiacciava le alghe sulla roccia, e noi al coperto, ridossati alla parte verticale che sparisce nel blu, cercando musdee e murene negli anfratti. O quando il mare non permise di ancorare e ci siamo fatti il giro del relitto, abbiamo lanciato il pallone di segnalazione e ci siamo abbandonati alla corrente, galleggiando nel blu come meduse. O quella volta che ci saranno state un centinaio di persone nello stesso punto di immersione e ho dovuto riportare alla barca il mio gruppo barcamenandomi fra correnti, traffico umano, aiuti spaesati. La flabellina da due centimetri colorata da un pittore psichedelico che ti ha rubato il fiato per cinque minuti. Gli sciami di gamberi e i loro occhietti gialli nella grotta. La parete sonnolenta che di notte diventa più viva di un mercato rionale.
Non esiste grandangolo sufficientemente ampio né pellicola abbastanza sensibile da catturare tutto questo ....
E poi finisce. Ritrovi la tua chiglia, decomprimi e rimetti il naso all'aria. Da quel momento il nastro si riavvolge, letteralmente: torni al molo, scarichi l'attrezzatura dal gommone, la carichi sulla jeep, la porti in magazzino e la sistemi a dovere; metti le bombole in carica, e inverti nuovamente il senso – cominci a preparare l'uscita pomeridiana. Uguale a sei ore prima, un po' più stanco, con la variante del pranzo che non si capisce mai dove avverrà e soprattutto con cosa: una pasta fatta in casa, ma da chi ? un arancino ? due cracker e una mela ? è sempre una sorpresa, come pure la cena: chi ha voglia di mettersi a cucinare alle nove di sera, ancora coperto di sale e sfiancato dall'azoto respirato e trasportato a braccia su, giù e sotto l'isola ? Per fortuna qualcuno, alla fine, si offre volontario, e gli stomaci ringraziano. Poi una birra, un sonno senza sogni, e la cassetta riprende da capo.
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