Una mia giornata tipo, quando facevo il free lancer informatico a casa mia. Forse qualcuno si potrà sentire offeso da certi passaggi, però, purtroppo, è quello che mi capitava di pensare a volte, e sono sicuro che io stesso, più volte e con ragione, sarò stato oggetto di anatemi irripetibili ... questo è lavoro, l'amicizia che ritengo di avere e mantenere con le persone che nel gioco delle parti ricoprivano il ruolo di "cliente" spero sia sufficiente a trascendere la crudezza delle parole e della prosa. Vi voglio bene.
E' il suono sbagliato a svegliarmi. E' la "mia" suoneria del cellulare - la stessa di qualche altro milione di persone al mondo. Potrei sbattermi e cercare un riff di mio gradimento, oppure aspettare che il mio modello di telefono diventi obsoleto assieme al suo set di musichine precaricato, cosa d'altronde già accaduta mentre la pensavo – meglio, le mie possibilità di mantenere la mia individualità sono cresciute.
A ben pensarci no, non è vero, non dipendono da quello. Lo vedo e me lo dico sempre, è come coi vestiti e gli occhiali da sole e la macchina e l'iPod con i loro colori e fogge da catalogo, non puoi possederli sperando che non ti globalizzino. Globalizzazione è uniformazione. Ecco perchè ho scelto la prima musichina di mio gradimento e ho tenuto quella, ogni sforzo è inutile. Verrò comunque assimilato.
In ogni caso lui, quel suono, a differeza del bip della sveglia ufficiale e della canzone ribelle che mi fa da backup, lui mi sveglia; è chiaro che si sta portando dietro l'ansia di qualcuno, un cliente immagino.
Chiunque sia è sfortunato, perchè alla prima telefonata non posso rispondere, sono ancora impastato dalla notte e dal catrame che covo in gola.
In piedi, musica, caffè, latte, biscotti, sigaretta. Cagata, sigaretta. Caffè, sigaretta. Altre due telefonate nel mentre ... cazzo arrivo, fatemi riprendere ! Il giornale me lo sfoglio pià tardi, tanto dirà poco di interessante. Qualche figa di gomma da ammirare, accusare bipolari, qualche nuova tassa, omuncoli che tentano di giustificare con discorsi deliranti e dissociati il fatto che tu li paghi migliaia di euro al mese. Funziona egregiamente, la gente rimane disorientata e crede sia colpa della sua propria ignoranza. In generale informarsi è un'attività deprimente, ci sono talmente tanti pali acuminati lanciati contro i nostri culi che se uno dovesse provare a fermarli tutti finirebbe straziato. Un po' come pensare a chi devolvere la tredicesima: aids, tumori, tsunami ? o il nuovo Brawn auto-o-matic III millenium con sonda ionica e software di interfacciamento al pc che ti fa i grafici della potenza erogata durante una sessione di sbucciaffettatuberi ? Per fortuna non ho mai avuto una tredicesima in vita mia, non ne sarei uscito vivo.
Vediamo le chiamate ... a questo cosa ho combinato ? Sono in ritardo per la consegna di quelle minuzie, ho dovuto dare priorità all'altro, ma oggi gliele faccio, subito anzi.
Cristo, per fortuna sono simpatico alle segretarie sennò mi avrebbero già impiccato per le palle. Tutti.
Ok, lo chiamo e sfoggio il mio migliore sorriso ottimista (lo faccio e lo carico di empatia, anche perchè sorridere al telefono serve a poco da solo, devi trasmettere il sentimento perchè l'immagine non passa. Per ora.)
Certo. Scusa. No, chiaro. Sì oggi, subito, prima di pranzo. Ciao, un bacio.
E so che ora comincia il waltzer. Non uno qualsiasi, quello per antonomasia, il Danubio Blu, sempre uguale a se stesso, reiterato alla noia ogni capodanno dalla filarmonica di Vienna assieme alla Radetzky March, che assume nello scandire le mie giornate un colore grigio e un'intonazione da musica industrial.
Una mail, una telefonata, un contatto in chat. Troppi contatti in chat, troppe telefonate, troppi ritardi accumulati e troppo poco entusiasmo residuo dopo l'esaurimento. Esaurimento breve e intenso, lacrime amare versate su un materassino in un campeggio in un giorno d'estate, per le notti rubate al sonno, per i rapporti senza un futuruo, per le poche ore d'aria concesseci dal Capitale, e anche per le parole di Debord.
Dopo quelle lacrime non sono più stato lo stesso, il lavoro ne ha risentito e ho imparato a fare l'affabile imbonitore. Che tristezza. Facciamo un caffè, condito con tabacco e giro sul forum.
Macché, telefono. Pronto ? Ah c'e' un problema sull'approvazione ferie ? Le do' subito un occhio. Come immaginavo, i clienti non sanno leggere, mentre il programma sì, c'e' un abisso comunicativo da colmare.
Cerco parole melliflue e compongo la mail con la soluzione ai loro problemi, il cui succo è "imparate a leggere quello che vi viene presentato sulle maschere anzichè rompermi i coglioni, distrarmi da quello che sto facendo, consolidare l'immagine che ormai ho di voi – quella di scimmie davanti a un monitor con disegnata sopra un'anguria, perchè se fosse una banana sapreste che farne", ma espresso in forma politicamente corretta. Mi adorano.
Dio, oggi è veramente impossibile andare avanti, che ore sono ? Le tre circa. Ho mangiato ? Non ancora. Vado come uno speleologo in cucina a cercare fortuna nella dispensa e nel frigo. Mi ci vorrà un'ora e mezza tra lavare i piatti – sempre quella pila putrida di giorni nel lavandino – preparare, mangiare, rilassarmi con un caffèsigaretta. Dalle quattro e mezza in poi è in discesa, tutti cominciano a rilassarsi pensando a quello scatto sulle diciotto della lancetta, smettono di martellarmi, e mi regalano inconsapevolmente tre orette durante le quali posso lavorare tranquillo. Oggi mi sento molto indulgente con me stesso, premio la mia stoicità lamentevole con un bel cannone alle cinque e mezza. Ogni boccata è come un'onda del mare su una spiaggia sporca, entra pulita ed esce pesante, gravata dallo stress, dal rancore, dal senso di impotenza, dalla noia, tirati via dal sangue attraverso i polmoni, depositate in dense volute sul mio bel pavimento piastrellato. Lo devo pulire sovente.
Beh, ora sono le otto passate e si comincia a vivere. Rabbocco lo stomaco con due uova, guardo chi c'e' collegato su Skype, faccio un paio di telefonate e si organizza la serata – a casa di questo o quell'altro, oppure in quel locale, a bere, fumare e scambiare parole. Ogni tanto ci scappa un film d'autore. Poi si risale in macchina con rotta verso casa, sempre troppo tardi, nelle strade, finalmente, praticabili perchè quasi vuote – di giorno è impossibile usarla l'automobile, sei circondato da facce nervose e incazzate, incastonate in gusci di vetro e lega d'alluminio, clacson, gas di scarico, ticckettaccke del semaforo, insulti. E' una situazione inumana, come facciamo a non rencercene conto ? Non solo il traffico, tutto intendo. Tutto.
Con questi pensieri parcheggio la mia scatoletta e muovo i passi verso la mia cella.
Mentre cammino ascoltando il suono delle mie suole sull'asfalto coperto di terra e polveri sottili, sorrido, pensando che quando avrò bisogno di lei correrò direttamente a cercarla nel posto sbagliato, dove era parcheggiata la settimana scorsa, o dove sarà parcheggiata fra tre giorni: nel grigiore del cielo e del cemento e della ripetitività tutto si confonde, come una serie di foto scattate da un cavalletto fisso e sviluppate una sull'altra.
Arrivo al portone, ma non ho sonno, voglio vivere, stare sveglio.
Purtroppo, domani è un altro giorno.
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