lunedì 29 febbraio 2016

Cinderella unleashed: Al mercato della carne

L'annuncio è un ordine, ragion per cui la mia matrigna non può esimersi dal concedermi di essere presente quella notte. Mi vengono donati alcuni scampoli di bassa qualità con cui dovrò arrangiarmi un vestito. Il tempo è poco, devo lavorarci di notte, a lume di candela, e poi, la sera del ballo, prepararmi in fretta e furia, perchè ho dovuto dedicare tutta la giornata alle mie sorellastre, lavarle, pettinarle, truccarle, lottare per far entrare i loro corpi flaccidi dentro i corsetti. Ma so di non aver bisogno di troppa cipria o rossetto, sono naturalmente bella, e il mio corpo è snello e muscoloso, scolpito da anni di corveé. Di fianco a loro spicco come un cervo in mezzo a un campo di porchette.

Così andiamo al ballo: una combriccola al fiele, una fra tante, si presenta alla porta della torre del paese. Le scale, e quindi la sala da ballo: le mie anime sorelle sono già lì, anche loro con quella bellezza selvaggia, concentrate sull'esecuzione del nostro piano non scritto e non detto, mascherate dietro una facciata di falsa cortesia, ridendo alle stupide battute della grassa nobiltà presente, sorridendo di rimando alle loro carezze inopportune, rifiutando gentilmente il vino offerto loro, ricevendo apprezzamenti per la loro morigeratezza e sobrietà. La sobrietà è necessaria, e funzionale.

Ed ecco il principe apparire in cima allo scalone interno. E' basso, goffo - pare che una sua gamba sia sensibilmente più corta dell'altra - e il suo viso è asimmetrico in modo evidente, un lato della bocca incurvato verso il basso, tanto da portarsi dietro lo zigomo e il taglio dell'occhio. Sembra sia il prodotto di reiterati accoppiamenti fra consanguinei, e questo evento un modo per spezzare il circolo vizioso. La sala si apre mentre lui vi scende, i presenti disponendosi sui restanti tre lati, le ragazze in prima fila, tutte con negli occhi la speranza di essere la prescelta. Con obiettivi diversi. Vedo i pensieri delle mie sorellastre, la possibilità di potersi fregiare di un titolo mancante all'altra, di essere la migliore, la più ricca, la più desiderata. Ma è una speranza irrealizzabile, sarà una del cerchio magico di quel mattino al mercato ad essere scelta, quel momento silente e solenne ha irrimediabilmente marcato l'inizio di una sequenza di eventi irreversibili, incontrollabili, ineluttabili, al di sopra delle nostre singole volontà, speranze, o aspettative. E così arriva davanti a me, esplorando con lo sguardo il mio corpo come fosse una coscia di prosciutto appesa a stagionare, mentre una goccia di saliva gli sfugge senza controllo dal labbro storto. Sono alta, i capelli naturalmente castani  e mossi diventano biondi verso le punte perchè schiariti dal sole; il seno è alto e sodo, le labbra un cuore rigoglioso che nasconde denti bianchi e voraci, il collo sottile, la mascella ovale e aggraziata, gli occhi verdi brillanti come un campo d'estate che spiccano contro la pelle abbronzata, ad aggiungere un tocco vagamente esotico, meticcio, un gusto torbido, un desiderio osceno. Non si muove oltre, è rapito dalla mia figura, e mi invita a ballare con un cenno. Rispondo con un casto inchino fra il mugugno della folla, misto di invidia, sorpresa, soddisfazione, e mi faccio avanti.

Cominciano le danze.

domenica 28 febbraio 2016

Cinderella unleashed: Sabbath nel villaggio

Al mercato cerco di incrociare lo sguardo di altre donne, trovare nei loro occhi la stessa sofferenza che è nei miei, solidarietà e complicità nel dolore. Non posso guardare i maschi negli occhi, finirei immediatamente in un vicolo per essere penetrata da qualche orango peloso e puzzolente alitantemi nelle orecchie attraverso denti marci e radi. Pochi secondi di orrore, che vorrei comunque evitare. La vedo la venditrice di lavanda, le conosco le storie riguardo a suo marito, un ipodotato che compensa con violenti pugni alle costole. E' un virus che si sprigiona, da lui a lei, da lei al figlio, procedendo dalle sovrastrutture sociali invisibili attorno a noi, la necessità di apparire virile, rispettosa, obbediente. Anche la puttana del paese è irregimentata nel suo ruolo di puttana, ridotta a ricettacolo di sperma vario, senza altra identità riconosciuta, come se non avesse idee, sogni, aspirazioni, potesse provare piacere o ribrezzo, avere giornate sì e giornate no. La suora quella in carne, che tutti sappiamo avere un debole per i cavalli, ma chissà poi se è vero o se lo considera in qualche modo meglio che avere relazioni con uomini o donne e rompere così il suo voto di castità, non mi pare che questo menzioni gli animali. Il mugnaio, che sembra non sia molto maschio con sua moglie, e viene pestato dai grulli della taverna una sera sì e un'altra pure, gli stessi che si montano le proprie capre quando le loro mogli hanno il ciclo o il mal di testa. Tanti schiavi, vittime e carnefici, più e meno consapevoli della loro patetica condizione, delle idiosincrasie, della loro magnifica irrilevanza su questa terra. Basterebbe un grido per liberarci tutti da queste catene, un singolo atto di ribellione, di liberazione, per far cadere ogni muro. E sto quasi per farlo uscire dalle mie viscere questo urlo, quasi per contrarre l'addome e buttare fuori tutta l'aria del mondo, quando accade questa cosa magica, ma magica da magia nera, di quelle che ti danno i brividi lungo tutta la schiena e ti fanno drizzare tutti i peli del corpo: ero persa nell'autocommiserazione, e quando ho rimesso a fuoco il mondo, ero al centro della piazza, e un'altra decina di adolescenti del paese era lì con me, eravamo tutte assieme, tutte perse, e poi contemporaneamente coscienti l'una delle altre. Ci conoscevamo dai tempi dell'infanzia, ma dopo le scuole, dagli otto anni, ci eravamo allontanate e incrociate solo la domenica a messa, ognuna schiacciata e annichilita sotto il suo personale giogo - fino ad oggi. Ci siamo guardate negli occhi, e abbiamo riconosciuto il nostro riflesso l'una nell'altra, non abbiamo avuto bisogno di parole, di dirci nulla, era tutto evidente. E mentre questo succedeva, altro successe: un araldo uscito dal cortile interno del castello, corre in mezzo alla piazza, in mezzo a noi, sale sul predellino e annuncia: ci sarebbe stato un gran ballo a corte, durante il quale il principe avrebbe scelto la sua futura consorte fra le giovani illibate in età da marito. La notte del mio compleanno. Tutte lo stiamo guardando, rapite, ma è come se ci stessimo tenendo per mano, e cospirando. Sappiamo che sarà la nostra occasione, prima e ultima, unica e irripetebile. Saremo pronte.

sabato 27 febbraio 2016

Cinderella unleashed: Prologo

L'aria è fredda all'alba qui in campagna, anche in questo periodo dell'anno. E' la terra che suda via la brina della notte, mentre i passeri cantano felici il ritorno del sole ancora sotto la linea dell'orizzonte. Non ci sono altri rumori, a parte il ruscello là oltre il campo coltivato, che devo concentrarmi per sentire, mi pare che si chiami cecità uditiva o qualcosa di simile, il tuo cervello filtra via i rumori di fondo persistenti per non impazzire. Ma non volevo divagare, lo so che ho la tendenza a divagare, è colpa della solitudine forse, quella che ti fa parlare e discutere e condividere i pensieri con te stessa, perchè non hai altri con cui farlo, e la mancanza di dialogo, anche lei, può renderti folle; o forse il parlare da soli è già sintomo della follia che ormai si è radicata dentro di te, e ... sto divagando. La luce del mattino, l'aria frizzante, i fringuelli, il ruscello e il silenzio che puoi ancora sentire sotto quei suoni - sarebbe una bella scena bucolica di quelle che ti scaldano il cuore, ma il puzzo delle deiezioni notturne delle mie sorellastre sale pungente dal secchio, e il mio cervello non riesce a cancellarlo, o non vuole farlo per qualche motivo che non riesco ad afferrare. L'altra me, quella che mi sgrida e conforta, quella che mi dà l'opinione scomoda, il punto di vista alternativo sulle cose del mondo, vuole farmi sentire tutto il peso di quel secchio, in ogni sua dimensione, vuole che l'odore di quella merda sfilacciata mi entri a fondo nei polmoni, e nel sangue, e arrivi fino al cervello, in modo che possa sentirlo anche lei. Le mie sorellastre mangiano molta carne, semplicemente perchè posso permetterselo e devono quindi ostentarlo, e pochissima frutta, perchè è quello che fanno le scimmie. La nostra merda racconta tutto di noi, esce dal nostro intimo senza trucchi, senza costumi: è un riflesso sincero di quanto abbiamo dentro.

Arrivo finalmente al canale, dove svuoto il secchio, lo lavo, e poi lavo me stessa. Mi piace sentire il freddo dell'acqua sulla pelle, mi piace sentire le mie mani fredde su di me. Dedico un momento a me stessa, a tutte le mie me stesse, ci masturbiamo assieme sdraiate sull'argine nella luce del mattino. Un attimo di oblìo. Ma è solo un attimo, perchè, come ogni giorno, dal cascinale iniziano ad arrivare i segnali necessari a riportarmi all'ordine, all'immutabile ritrmo delle mie giornate, scandito da porte sbattute, urla, insulti, umiliazioni, richieste, feci, animali, cucina, pulizie, commissioni, tutto ciò che definisce la mia reale condizione: schiava di queste persone che si definiscono "la mia famiglia". Ho pensato molte volte di ucciderle tutte nel sonno, le mie "sorelle" e mia "madre", ma sarei l'ovvio colpevole e non credo che i vecchi grassi maschi che formano il tribunale del popolo siano molto sensibili al concetto di schiavitù e agli effetti di tali angherie sulle giovani donne del principato. Ho la fortuna di essere nutrita, avere il tetto di un pagliaio sopra la testa ogni notte, dovrei essere riconoscente della possibilità di espletare il ruolo della donna definito dal dio barbuto dei maschi pii in ogni sua possibile estensione. Verrei impiccata senza processo, ma più probabilmente linciata sul posto senza speranza di arrivare intera al patibolo. Probabilmente il vecchio patriarca della fattoria accanto tornerebbe più tardi per stuprare il mio cadavere e farmi sentire completamente donna almeno una volta nella vita (non è abbastanza intelligente da capire il significato delle parole), ricordarmi che il mio posto è sotto. Ancora una settimana e avrò sedici anni; è imperativo trovare una via d'uscita, che possibilmente mi assicuri anche la sopravvivenza. La vendetta non mi basta.