L'aria è fredda all'alba qui in campagna, anche in questo periodo
dell'anno. E' la terra che suda via la brina della notte, mentre i
passeri cantano felici il ritorno del sole ancora sotto la linea
dell'orizzonte. Non ci sono altri rumori, a parte il ruscello là oltre il campo
coltivato, che devo concentrarmi per sentire, mi pare che si chiami
cecità uditiva o qualcosa di simile, il tuo cervello filtra via i rumori
di fondo persistenti per non impazzire. Ma non volevo divagare, lo so
che ho la tendenza a divagare, è colpa della solitudine forse, quella
che ti fa parlare e discutere e condividere i pensieri con te stessa,
perchè non hai altri con cui farlo, e la mancanza di dialogo, anche lei,
può renderti folle; o forse il parlare da soli è già sintomo della
follia che ormai si è radicata dentro di te, e ... sto divagando. La
luce del mattino, l'aria frizzante, i fringuelli, il ruscello e il
silenzio che puoi ancora sentire sotto quei suoni - sarebbe una bella
scena bucolica di quelle che ti scaldano il cuore, ma il puzzo delle
deiezioni notturne delle mie sorellastre sale pungente dal secchio, e il
mio cervello non riesce a cancellarlo, o non vuole farlo per qualche
motivo che non riesco ad afferrare. L'altra me, quella che mi sgrida e
conforta, quella che mi dà l'opinione scomoda, il punto di vista
alternativo sulle cose del mondo, vuole farmi sentire tutto il peso di
quel secchio, in ogni sua dimensione, vuole che l'odore di quella merda
sfilacciata mi entri a fondo nei polmoni, e nel sangue, e arrivi fino al
cervello, in modo che possa sentirlo anche lei. Le mie sorellastre
mangiano molta carne, semplicemente perchè posso permetterselo e devono
quindi ostentarlo, e pochissima frutta, perchè è quello che fanno le
scimmie. La nostra merda racconta tutto di noi, esce dal nostro intimo
senza trucchi, senza costumi: è un riflesso sincero di quanto abbiamo dentro.
Arrivo finalmente al canale, dove svuoto il secchio, lo lavo, e poi lavo
me stessa. Mi piace sentire il freddo dell'acqua sulla pelle, mi piace
sentire le mie mani fredde su di me. Dedico un momento a me stessa, a
tutte le mie me stesse, ci masturbiamo assieme sdraiate sull'argine
nella luce del mattino. Un attimo di oblìo. Ma è solo un attimo, perchè,
come ogni giorno, dal cascinale iniziano ad arrivare i segnali
necessari a riportarmi all'ordine, all'immutabile ritrmo delle mie
giornate, scandito da porte sbattute, urla, insulti, umiliazioni,
richieste, feci, animali, cucina, pulizie, commissioni, tutto ciò che
definisce la mia reale condizione: schiava di queste persone che si
definiscono "la mia famiglia". Ho pensato molte volte di ucciderle tutte
nel sonno, le mie "sorelle" e mia "madre", ma sarei l'ovvio colpevole e
non credo che i vecchi grassi maschi che formano il tribunale del
popolo siano molto sensibili al concetto di schiavitù e agli effetti di
tali angherie sulle giovani donne del principato. Ho la fortuna di
essere nutrita, avere il tetto di un pagliaio sopra la testa ogni notte,
dovrei essere riconoscente della possibilità di espletare il ruolo
della donna definito dal dio barbuto dei maschi pii in ogni sua
possibile estensione. Verrei impiccata senza processo, ma più
probabilmente linciata sul posto senza speranza di arrivare intera al
patibolo. Probabilmente il vecchio patriarca della fattoria accanto
tornerebbe più tardi per stuprare il mio cadavere e farmi sentire
completamente donna almeno una volta nella vita (non è abbastanza
intelligente da capire il significato delle parole), ricordarmi che il
mio posto è sotto. Ancora una settimana e avrò sedici anni; è
imperativo trovare una via d'uscita, che possibilmente mi assicuri anche la
sopravvivenza. La vendetta non mi basta.
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