sabato 27 febbraio 2016

Cinderella unleashed: Prologo

L'aria è fredda all'alba qui in campagna, anche in questo periodo dell'anno. E' la terra che suda via la brina della notte, mentre i passeri cantano felici il ritorno del sole ancora sotto la linea dell'orizzonte. Non ci sono altri rumori, a parte il ruscello là oltre il campo coltivato, che devo concentrarmi per sentire, mi pare che si chiami cecità uditiva o qualcosa di simile, il tuo cervello filtra via i rumori di fondo persistenti per non impazzire. Ma non volevo divagare, lo so che ho la tendenza a divagare, è colpa della solitudine forse, quella che ti fa parlare e discutere e condividere i pensieri con te stessa, perchè non hai altri con cui farlo, e la mancanza di dialogo, anche lei, può renderti folle; o forse il parlare da soli è già sintomo della follia che ormai si è radicata dentro di te, e ... sto divagando. La luce del mattino, l'aria frizzante, i fringuelli, il ruscello e il silenzio che puoi ancora sentire sotto quei suoni - sarebbe una bella scena bucolica di quelle che ti scaldano il cuore, ma il puzzo delle deiezioni notturne delle mie sorellastre sale pungente dal secchio, e il mio cervello non riesce a cancellarlo, o non vuole farlo per qualche motivo che non riesco ad afferrare. L'altra me, quella che mi sgrida e conforta, quella che mi dà l'opinione scomoda, il punto di vista alternativo sulle cose del mondo, vuole farmi sentire tutto il peso di quel secchio, in ogni sua dimensione, vuole che l'odore di quella merda sfilacciata mi entri a fondo nei polmoni, e nel sangue, e arrivi fino al cervello, in modo che possa sentirlo anche lei. Le mie sorellastre mangiano molta carne, semplicemente perchè posso permetterselo e devono quindi ostentarlo, e pochissima frutta, perchè è quello che fanno le scimmie. La nostra merda racconta tutto di noi, esce dal nostro intimo senza trucchi, senza costumi: è un riflesso sincero di quanto abbiamo dentro.

Arrivo finalmente al canale, dove svuoto il secchio, lo lavo, e poi lavo me stessa. Mi piace sentire il freddo dell'acqua sulla pelle, mi piace sentire le mie mani fredde su di me. Dedico un momento a me stessa, a tutte le mie me stesse, ci masturbiamo assieme sdraiate sull'argine nella luce del mattino. Un attimo di oblìo. Ma è solo un attimo, perchè, come ogni giorno, dal cascinale iniziano ad arrivare i segnali necessari a riportarmi all'ordine, all'immutabile ritrmo delle mie giornate, scandito da porte sbattute, urla, insulti, umiliazioni, richieste, feci, animali, cucina, pulizie, commissioni, tutto ciò che definisce la mia reale condizione: schiava di queste persone che si definiscono "la mia famiglia". Ho pensato molte volte di ucciderle tutte nel sonno, le mie "sorelle" e mia "madre", ma sarei l'ovvio colpevole e non credo che i vecchi grassi maschi che formano il tribunale del popolo siano molto sensibili al concetto di schiavitù e agli effetti di tali angherie sulle giovani donne del principato. Ho la fortuna di essere nutrita, avere il tetto di un pagliaio sopra la testa ogni notte, dovrei essere riconoscente della possibilità di espletare il ruolo della donna definito dal dio barbuto dei maschi pii in ogni sua possibile estensione. Verrei impiccata senza processo, ma più probabilmente linciata sul posto senza speranza di arrivare intera al patibolo. Probabilmente il vecchio patriarca della fattoria accanto tornerebbe più tardi per stuprare il mio cadavere e farmi sentire completamente donna almeno una volta nella vita (non è abbastanza intelligente da capire il significato delle parole), ricordarmi che il mio posto è sotto. Ancora una settimana e avrò sedici anni; è imperativo trovare una via d'uscita, che possibilmente mi assicuri anche la sopravvivenza. La vendetta non mi basta.

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