
Mentre volteggiamo al ritmo di valzer, rallentato per rispetto alla
disabilità del principe, lui continua a guardarmi dal basso verso l'alto
come un pezzo di carne sugosa, una promettente procreatrice, mentre
apprezza il mio totale silenzio e il mio sorriso appena accennato e
imperturbabile - tutte e sole le qualità che si addicono ad una degna
consorte. Lo guardo di rimando, leggendo i suoi pensieri, mentre la
saggia e pietosa me non può che ricordarmi come egli, ad egual modo del
suo aspetto, sia il risultato dell'ambiente in cui è stato concepito e
cresciuto - che in fondo non ha colpe, che tutti siamo esattamente
questo, il prodotto di qualcun altro, di molti altri, che le nostre
aspirazioni, i nostri desideri, i nostri timori, i nostri odii e i
nostri amori, non sono nostri. Sono indotti, causati. Che se io e le mie
sorelle di sangue siamo qui, e stiamo per fare quello che stiamo per
fare, è perchè altri ci hanno portato qui per mano, a colpi di randello,
a furia di sputi e insulti, perchè altri li hanno picchiati, umiliati,
stuprati, e così via fino al primo uomo che ha ucciso la prima vittima
perchè i suoi genitori erano stati cacciati dall'eden perchè dio è uno
stronzo tentatore. Dio è satana, sono entrambi intorno a noi e ci
forgiano continuamente, portandoci a compiere il nostro destino, sul
quale non abbiamo controllo, colpe o glorie. Questa nuova consapevolezza
mi fa dubitare di tutta me stessa, delle mie reali intenzioni, della
loro origine e del loro fine, della mia statura morale - davvero ho
creduto di essere meglio dei miei aguzzini ? O anche questi dubbi stanno insorgendo perchè suggeriti dal senziente status quo, che lotta per la perpetuazione di se stesso, dei loro privilegi, dei nostri ruoli ? La linea fra i buoni e cattivi diventa sempre più sfocata
ed evanescente, il movente sta perdendo la presa su di me, e se ne deve
essere accorto, perchè una nuova ondata di magia sincronicistica si
abbatte su di me. Le campane iniziano a toccare la mezzanotte, rendendomi ufficialmente sedicenne, burocraticamente adulta, femminilmente scaltra
e padrona di me stessa; e allo stesso tempo, il principe mi stringe a
sé per farmi sentire il suo esile, puntuto desiderio.
Al ritmo dei
rintocchi, danziamo di nuovo verso le scale, e nell'ostentata
inavvertenza generale, le saliamo per guadagnare il rifugio delle
pesanti tende vermiglie alla loro sommità, che nascondono l'ingresso
alle stanze private, e nasconderanno la nostra prima unione carnale.
Infilzo il mio sguardo nel suo un'ultima volta, alla ricerca di cosa
possa giustificare nella sua mente quella gratitudine che ritiene io
possa avere verso di lui, nel traghettarmi da una schiavitù ad un'altra,
da serva riverente a muta fattrice - di cosa possa fargli credere che
il contenuto dei suoi pitali sia migliore di quelli della mia matrigna.
Ma è paonazzo, deve essere eccitato come mai gli era accaduto prima, e
mi invita con decisione a inginocchiarmi e prendermi cura di lui; e così
faccio. Sotto di noi, l'orchestra ha cambiato canzone, preferendo al
valzer qualcosa di più movimentato e fragoroso per coprire eventuali
inopportuni gemiti; alcune mie sorelle ne hanno approfittato per
approcciare le guardie presenti e invitarle nell'ombra con una falsa
promessa, come falsa è la mia sottomissione mentre gli abbasso i
pantaloni alle ginocchia e con una mano gli accarezzo il membro; e
continuo ad accarezzarlo, al contempo sfilandogli il coltello
cerimoniale dalla fascia sullo stomaco per infilarglielo in verticale,
in unico movimento fluido e vigoroso, nel mezzo del perineo. Il contatto
della lama fredda sommato al massaggio in atto gli provocano un
sorpreso orgasmo, che continua implacabile mentre estraggo la lama e gli
recido di netto pene e testicoli. Mi alzo mentre lui si accascia scosso
da spasmi di svariata natura, guardandomi incredulo - ma io non
ricambio lo sguardo. Emergo dalle tende coperta di sangue e sperma, con
una lama in una mano e un trofeo nell'altra, che getto di sotto in mezzo
ai danzatori. Questo è ciò che avete seminato, ora coglietene i frutti.
La musica si interrompe disordinatamente in un eco di piatti di ottone
nel silenzio esterrefatto dei presenti, mentre altri cadaveri
deambulanti escono da differenti alcove, schizzando sangue dalle
giugulari o dalle cosce, seguiti dalle mie consorelle ghignati, gli
occhi ebbri di rivincita. Una sola delle guardie ha mantenuto il posto,
un giovane alto e muscoloso dagli occhi scuri e profondi, che trattiene a
stento un rigurgito di disgusto mentre si avvicina alla porta per
presidiarla: non vuole
far scappare nessuno, è un nostro inatteso ed insperato alleato. Forse ha anche
lui qualcosa da vendicare, forse è più sensibile dei suoi compagni,
forse è solo opportunista, ma in questo momento non ha importanza.
Mentre lui respinge i primi tentativi di fuga, noi ci gettiamo in mezzo
alla folla menando fendenti alla cieca, abbattendo i maiali inciampati
sulle viscere altrui, scivolati nel sangue denso e scuro dei loro
camerati. Chi non è con noi è contro di noi, e pare che tutti, da buoni
animali ammaestrati, si sentano al sicuro solo nel conforto della loro
personale gabbia: non vogliono cambiare ruolo, non vedono le catene che
li avvolgono, non percepiscono la liberatoria potenza simbolica di
questa nostra rappresentazione. E' una carneficina, ma presto il marmo
della sala diventa troppo scivoloso a causa del sangue, del vomito e
delle interiora sparse ovunque, e molti riescono a scappare nella stanza
adiacente e barricarsi al suo interno. La guardia ci spiega che quella
non ha uscita, quindi bocchiamo la porta a nostra volta dall'esterno e usciamo nel cortile.